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Capitolo 6 - Coagulazione e tromboembolismi

Craig J. Della Valle, MD

I. Coagulopatie

A. Cascata coagulativa

1. La cascata coagulativa è costituita da una serie di reazioni enzimatiche che conducono alla formazione finale di fibrina.

2. La fibrina produce un reticolo che intrappola le piastrine, formando un coagulo e arrestando il sanguinamento (Figura 1).

3. Ogni step all'interno della cascata coinvolge l'attivazione di un fattore coagulativo, il quale a sua volta attiva lo step successivo della cascata.

4. Esistono due vie per l'attivazione della formazione del coagulo, quella intrinseca e quella estrinseca.

a. Via intrinseca

  1. Attivata dall'esposizione del collagene sub-endoteliale dei vasi sanguigni danneggiati al fattore XII
  2. Misurabile attraverso la determinazione del tempo di tromboplastina parziale (PTT, partial thromboplastin time)

b. Via estrinseca

  • Attivata dal rilascio di tromboplastina (attraverso il danno cellulare) nel sistema circolatorio
  • Misurabile attraverso la determinazione del tempo di protrombina (PT, prothrombin time)

c. È possibile identificare una disfunzione piastrinica attraverso il prolungamento del tempo di sanguinamento.


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Figura 1 La cascata coagulativa.
Il PT misura la funzionalità della via estrinseca e di quella comune, mentre il PTT costituisce un indice della via intrinseca e di quella comune. HMWK (high-molecular-weight kininogen) = kininogeno a elevato peso molecolare; KAL (kallikrein) = callicreina; FPA = fibrinopeptide A; FPB = fibrinopeptide B. (Riproduzione autorizzata e modificata da
Stead RB: Regulation of hemostasis; in Goldhaber SZ (ed): Pulmonary Embolism and Deep Venous Thrombosis. Philadelphia, PA, WB Saunders, 1985, p 32.) 


B. Sistema fibrinolitico

  1. Il sistema fibrinolitico agisce arrestando la formazione del coagulo, per preservare la pervietà del vaso.
  2. Il passaggio chiave è costituito dalla formazione di plasmina attiva, a partire dal plasminogeno.
  3. Il plasminogeno dissolve la fibrina.

C. Emofilia

  1. Deficit ereditario di un fattore che provoca sanguinamenti abnormi (Tabella 1).
  2. Le emartrosi recidivanti e le conseguenti sinoviti delle grandi articolazioni possono provocare la distruzione articolare (l'articolazione del ginocchio è quella più frequentemente coinvolta).
  3. Opzioni terapeutiche

    a. Il trattamento iniziale consiste nella sostituzione del fattore mancante, nell'aspirazione, nell'iniziale immobilizzazione e nella fisioterapia.
    b. Se il sanguinamento continua malgrado l'infusione del fattore profilattico, è indicata l'esecuzione di una sinoviectomia radioisotopica o artroscopica, qualora le superfici cartilaginee siano relativamente conservate.
    c. L'artroplastica totale di ginocchio (TKA, total knee arthroplasty), in questi soggetti, può risultare complessa per la severa rigidità e contrattura preoperatoria.
  4. Questi soggetti presentano un elevato rischio d'infezioni.
  5. Ricorso alla sostituzione del fattore

    a. Nella pianificazione di un intervento chirurgico è necessario ricorrere alla sostituzione del fattore per via endovenosa, allo scopo di mantenere i livelli del fattore mancante al 100% nella fase immediatamente pre-operatoria e nei 3-5 giorni successivi all'intervento per le procedure relative ai tessuti molli, e nelle 3-4 settimane post-operatorie per le procedure ossee, quali l'artroplastica totale d'anca (THA, total hip arthroplasty) e la TKA.
    b. Sebbene in passato per la sostituzione del fattore venissero comunemente impiegati derivati del plasma (associati a un alto rischio d'infezioni da patogeni a trasmissione ematogena, quali i virus dell'epatite e l'HIV), attualmente si utilizzano derivati ricombinanti.
  6. Inibitori - Anticorpi circolanti in grado di neutralizzare i fattori VIII o IX.

    a. Viene sospettata la presenza di tali anticorpi in caso di assenza di risposta di un paziente a dosi sostitutive incrementali del fattore.
    b. La diagnosi è confermata da un'indagine in vitro, nella quale l'aggiunta di plasma normale o di un concentrato del fattore non riesce a correggere un PTT prolungato.
    c. Sebbene in passato venissero considerati una controindicazione a un intervento di chirurgia elettiva, attualmente possono essere neutralizzati, contrastando gli effetti degli inibitori.


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Tabella 1. Deficit di fattori alla base di disordini coagulativi


D. Malattia di von Willebrand

  1. La malattia di von Willibrand è un insieme di coagulopatie su base genetica secondarie a un deficit di fattore di von Willebrand (vWF, von Willebrand factor).
  2. Ruolo del vWF

    a. Componente integrante per una normale adesività piastrinica e per il funzionamento del fattore VIII
    b. Normalmente rilevabile nelle piastrine e nell'endotelio dei vasi
  3. Tipi di deficit

    a. Tipo 1 (quantitativo; riduzione dei livelli di vWF) - Una forma più lieve che si manifesta con abbondanti sanguinamenti mestruali o con eccessive emorragie gengivali, facilità alla formazione di ecchimosi, o con sanguinamenti chirurgici sproporzionati.
    b. Tipo 2 (qualitativo; vWF anormale)
    c. Tipo 3 (quantitativo; mancata sintesi di vWF) - La forma più grave di malattia, estremamente rara (1 su 500.000).
  4. La diagnosi viene effettuata misurando il tempo di sanguinamento, l'attività del fattore VIII e mediante indagini quantitative e qualitative del vWF.
  5. Trattamento

    a. La desmopressina, generalmente somministrata mediante spray nasale, agisce aumentando il rilascio endogeno di vWF da parte dell'endotelio vascolare.
    b. Nei soggetti con le forme più severe del deficit (tipi 2 e 3) possono risultare necessari concentrati di fattore VIII associati al vWF.

E. Coagulopatie

1. Coagulopatie possono essere provocate da elevate perdite ematiche conseguenti a traumi maggiori o a procedure chirurgiche estese.

2. È necessaria la reintegrazione dei liquidi e di unità di emazie.

3. La necessità infusionale di piastrine e di plasma fresco congelato deve essere valutata monitorando la conta piastrinica e i parametri coagulativi.

   

MODULO 1:
CONOSCENZE FONDAMENTALI

MODULO 2:
COLONNA VERTEBRALE