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Capitolo 6 - Infezioni della colonna vertebrale

Peter G. Whang, MD Jonathan N. Grauer, MD

II. Infezioni post-operatorie

A. Incidenza e microbiologia

  1. Le infezioni post-operatorie insorgono quasi esclusivamente per inoculazione in una ferita chirurgica da parte della flora cutanea (ad es., Staphylococcus aureus, Staphylococcus epidermidis) al momento dell'intervento, ma possono essere causate anche da diffusione ematogena.
  2. Diversi fattori legati alle procedure e ai pazienti possono influenzare l'incidenza delle infezioni post-operatorie.
  • Tempi operatori più lunghi
  • Condizioni d'immunodepressione
  • Aumentate perdite ematiche
  • Condizioni di malnutrizione
  • Approccio chirurgico posteriore
  • Obesità (indice di massa corporea >35)
  • Utilizzo di strumenti o della microscopia intraoperatoria
  • Precedenti interventi di chirurgia vertebrale o irradiazione locale
  • Strutture di maggiori dimensioni e procedure più estese
  • Abuso di tabacco o di alcolici
  • Traumi multipli

B. Presentazione clinica

  1. La maggior parte delle infezioni post-operatorie della colonna vertebrale è clinicamente evidente.
  2. Insorgenza di dolenzia e dolorabilità attorno alla ferita chirurgica
  3. Sintomi costituzionali (ad es., iperpiressia, brividi o malessere) sono comuni, ma possono risultare assenti.
  4. Possibile presenza di eritema, lacerazione e suppurazione a livello dell'incisione chirurgica, malgrado chiusure fasciali più strette possano consentire l'insorgenza d'infezioni più profonde in assenza di evidenti manifestazioni superficiali.
  5. Un'infezione chirurgica può impiegare anche più di una settimana per divenire evidente, dopo l'intervento.

C. Indagini diagnostiche

1. Esami di laboratorio

  • I valori relativi a leucociti, VES e PCR sono spesso alterati, pur potendo risultare elevati anche a causa dello stress fisiologico conseguente all'intervento chirurgico.
  • La VES raggiunge normalmente un picco entro 5 giorni dall'intervento, ma può rimanere elevata per 40 o più giorni.
  • La PCR raggiunge generalmente i suoi massimi valori intorno alla seconda giornata post-operatoria, ma può restare elevata per più di 14 giorni dall'intervento.

2. Modalità di imaging

  • La semplice radiografia della sede chirurgica può escludere la presenza di alterazioni strutturali sottostanti in grado di giustificare la presentazione clinica di un paziente.
  • La tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM) sono utili nell'identificazione di raccolte liquide atipiche, ma tali indagini mostrano spesso immagini relativamente aspecifiche, potenzialmente difficili da differenziare dalle normali alterazioni post-operatorie.

3. Indagini colturali

  • L'identificazione dell'organismo specifico responsabile di un'infezione è essenziale per orientare un appropriato trattamento antibiotico.
  • Spesso le colture dalle zone superficiali della ferita non vengono indicate, in quanto presentano un rischio significativo di contaminazione.
  • Nel sospetto d'infezioni sistemiche è opportuno ottenere delle emocolture.
  • Negli scenari clinici dubbi, può risultare necessaria un'agobiopsia per raggiungere le raccolte liquide profonde non differenziabili dagli ematomi post-operatori.
  • Le indagini colturali intraoperatorie restano il gold standard per confermare la presenza di un'infezione attiva della ferita e isolare l'agente patogeno responsabile.

D. Profilassi antibiotica

1. La profilassi antibiotica perioperatoria ha  dimostrato di poter ridurre l'incidenza delle infezioni della ferita nel post-operatorio anche del 60%, per cui è largamente raccomandata la somministrazione di una singola dose parenterale di antibiotico da 30 a 60 minuti prima dell'incisione chirurgica, per consentire una distribuzione sistematica e un'adeguata penetrazione tissutale.

  • Le cefalosporine di prima generazione (ad es., la cefazolina) garantiscono una buona copertura dagli organismi Gram-positivi, compresi lo S. aureus e lo S. epidermidis, due tra i più comuni contaminanti della cute.
  • Occorre prendere in considerazione antibiotici diversi quali la vancomicina nei soggetti allergici alle cefalosporine o in quelli con infezioni da S. aureus meticillino-resistente (MRSA, methicillin-resistant S aureus).

2. Nei casi relativi a procedure chirurgiche prolungate o con significative perdite ematiche, o contaminazione macroscopica, è raccomandata la somministrazione intraoperatoria di dosi aggiuntive di antibiotico a intervalli corrispondenti a 1-2 volte l'emivita del farmaco.
3. Sebbene molti chirurghi proseguano la profilassi antibiotica nel post-operatorio, tale consuetudine non è supportata dalla letteratura scientifica, potendo in realtà selezionare microrganismi antibiotico-resistenti con virulenza maggiore.

E. Gestione

1. Nel sospetto di un'infezione post-operatoria superficiale della colonna vertebrale può essere inizialmente presa in considerazione una gestione medica, in assenza di raccolte liquide patologiche o di ascessi evidenti.

  • Tutti i casi di sospetta infezione della ferita trattati solamente con antibiotici andranno seguiti attentamente per escludere la possibilità di progressione o di coinvolgimento dei tessuti profondi.
  • Oltre all'aspetto clinico dell'incisione chirurgica, occorrerà monitorare anche la risposta del paziente al trattamento farmacologico mediante indagini di laboratorio (ad es., VES e PCR).

2. L'irrigazione a cielo aperto e lo sbrigliamento costituiscono i capisaldi della terapia.

  • In presenza di evidenza clinica sufficiente a conferma della diagnosi, occorrerà intervenire immediatamente chirurgicamente su basi presuntive, piuttosto che attendere conferme da indagini di imaging.
  • L'irrigazione, lo sbrigliamento e la somministrazione di antibiotici nel perioperatorio non andranno iniziati prima di ottenere delle colture superficiali e profonde dalla ferita.
  • L'ingabbiamento viene spesso mantenuto in sede, in quanto l'aumentata stabilità non risulta importante solamente per un adeguato trattamento della patologia vertebrale sottostante, ma può anche favorire l'eradicazione dell'infezione (Figura 1).
  • Sono generalmente da rimuovere gli innesti ossei allentati, potendo fungere da potenziali foci infettivi, mentre possono essere lasciati in sede i materiali aderenti alle strutture ossee circostanti.
  • Sebbene molti chirurghi preferiscano chiudere subito la ferita sopra i drenaggi, si può lasciare aperta una ferita macroscopicamente infetta per procedere a irrigazioni seriali e alle procedure di sbrigliamento.

i. Sarà possibile procedere alla chiusura della ferita successivamente, in un secondo momento, quando non vi sarà evidenza di contaminazione e le colture risulteranno negative.
ii. Tra molti chirurghi stanno ottenendo popolarità anche i sistemi con metodica VAC (vacuum-assisted closure), a pressione negativa.

  • Il trattamento iniziale consiste nell'utilizzo di antibiotici ad ampio spettro per via parenterale, da modificare sulla base dei risultati delle indagini colturali intraoperatorie sulla ferita.

i. La terapia antibiotica viene generalmente proseguita per almeno 6 settimane, basando le successive variazioni del trattamento farmacologico sulla risposta clinica e sul profilo di laboratorio relativo a ciascun paziente.
ii. Quando ritenuto appropriato, i pazienti potranno poi passare a un trattamento antibiotico per via orale.


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Figura 1. Immagini relative alla colonna vertebrale di un paziente con un’infezione post-operatoria della colonna. A, La RM sagittale pesata in T2 mostra la presenza di un’infezione che coinvolge lo spazio discale. La colonna risultava inoltre instabile a questo livello, ed è stata sottoposta a ripetute manovre di irrigazione posteriore e sbrigliamento, quindi a un intervento di fusione intervertebrale anteriore con autotrapianto seguito da una fusione strumentale posteriore. B, Radiografia della colonna dopo il trattamento. 


   

MODULO 1:
CONOSCENZE FONDAMENTALI

MODULO 2:
COLONNA VERTEBRALE