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Capitolo 9 - Patologia degenerativa lombare e lombalgia

Thomas E. Mroz, MD Michael Steinmetz, MD

IV. Lombalgia associata a patologia degenerativa discale

A. Degenerazione del disco intervertebrale

1. La degenerazione del disco insorge generalmente nella terza decade di vita.

2. La degenerazione discale è caratterizzata dalla riduzione nella concentrazione dei proteoglicani, con conseguente perdita d'idratazione, diminuzione del numero di cellule vitali, riduzione dei cross-link della piridinolina e aumento di quelli della pentosidina. La pentosidina è un cross-link tra arginina e glicina, e rappresenta un marcatore di glicosilazione avanzata.

3. Nella patologia degenerativa discale (DDD, degenerative disk disease), l'entità della fibrosi dell'anulus esterno resta costante, ma gli strati fibrocartilaginei interni dell'anulus si espandono.

4. Con la progressione della DDD, l'altezza del disco si riduce portando a un'alterazione della biomeccanica del segmento della colonna.

5. Nelle prime fasi della degenerazione, aumentano sia il metabolismo anabolico sia quello catabolico. La matrice mostra una degenerazione netta quando il tasso catabolico supera quello anabolico.

6. Le cause (o la causa) precise della degenerazione discale non sono chiare, potendo contribuire diversi fattori.

  • Comorbilità quali il diabete mellito, l'insufficienza vascolare e il fumo risultano potenzialmente associati alla degenerazione discale.
  • Si è pensato a una componente genetica per la degenerazione del disco, ma il gene preciso (o i geni) e la fisiopatologia associata devono ancora essere chiariti.

7. L4-5 e L5-S1 sono i dischi che vanno solitamente incontro a degenerazione per primi.

8. La cascata degenerativa di Kirkaldy-Willis descrive tre stadi generali di degenerazione del disco, in seguito a un trauma torsionale:

  • Fase I (stadio disfunzionale): disfunzione significativa causata da dolore dorsale acuto, in seguito al trauma.
  • Fase II (stadio instabile): lunga fase di relativa instabilità a livello di un particolare segmento vertebrale, che rende il paziente soggetto a esacerbazioni dolorose intermittenti al dorso.
  • Fase III (stadio di stabilizzazione): si verifica una ristabilizzazione del segmento, con riduzione degli episodi di dorsalgia.

B. Eziologia della lombalgia

1. La relazione tra degenerazione del disco e lombalgia è parzialmente ignota. Alcuni pazienti con una pronunciata degenerazione discale presentano lombalgia, ma altri con lo stesso grado di affezione non lamentano dolore alcuno. Non esiste quindi una correlazione diretta tra DDD e lombalgia.

2. Fattori che possono svolgere un ruolo nella genesi della lombalgia:

  • Alterata biomeccanica segmentale dovuta a degenerazione discale.
  • Ipersensibilità neurale secondaria al rilascio di mediatori neurali (per es., fosfolipasi A2, ossido nitrico, glutammato, sostanza P, peptide correlato al gene della calcitonina).
  • Proliferazione neurovascolare interna a livello discale.

3. Con la riduzione dell'altezza del disco, le caratteristiche del carico sulle faccette articolari subiscono un'alterazione. Essendo compromessa la competenza delle capsule delle faccette articolari, ne deriva una motilità alterata che provoca degenerazione e ipertrofia di tali faccette.

C. Lombalgia acuta

1. È importante differenziare tra dorsalgie acute e croniche, in quanto la storia naturale, il trattamento e la prognosi sono differenti

  • Viene definita come lombalgia acuta un'algia con limitazione funzionale della durata inferiore ai 3 mesi, o più comunemente, come una dorsalgia della durata compresa tra 6 settimane e 3 mesi.
  • La dorsalgia cronica è definita dalla presenza di dolore per oltre 3 mesi,  o come una lombalgia frequentemente recidivante.

2. I pazienti affetti da lombalgia acuta presentano solitamente sintomatologia dorsale aspecifica e nessun sintomo neurologico. Raramente viene identificata una causa specifica.

3. La storia naturale della maggior parte degli episodi di lombalgia acuta è quella di un processo auto-limitantesi. Tuttavia, nella valutazione di tali soggetti è fondamentale raccogliere un'anamnesi dettagliata, e il medico dovrebbe sempre considerare eventuali segni di allarme indicativi di problemi gravi (Tabella 3).

4. Raramente è necessaria una valutazione fisiologica del dolore agli arti mediante elettromiografia (EMG) e/o studi sulla velocità di conduzione nervosa (NCV, nerve conduction velocity), per valutare e trattare i soggetti con una componente radicolare. Se è in discussione l'eziologia, l'EMG e/o la NCV possono tuttavia costituire degli utili complementi all'arsenale diagnostico.

5. Trattamento

  • Non chirurgico

i. La terapia della lombalgia acuta è fondamentalmente non chirurgica.

ii. Robuste evidenze avvallano l'utilizzo di acetaminofene, di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e di miorilassanti; vi sono evidenze moderate a favore dell'impiego di analgesici e delle manipolazioni della colonna vertebrale, per alleviare la sintomatologia dolorosa.

iii. La terapia fisica attiva ha dimostrato di garantire maggiori benefici, rispetto alla sola terapia medica.

iv. Vi sono prove insufficienti a favore dell'utilizzo di trattamenti alternativi quali l'agopuntura, l'erboristeria o la tecnica di "dry-needling".

v. Vanno evitati il riposo a letto e le modalità passive.

  • Chirurgico

i. La gestione chirurgica della lombalgia acuta è riservata ai soggetti con gravi patologie sottostanti.

ii. La sindrome della cauda equina, le infezioni, le neoplasie e le fratture richiedono una valutazione chirurgica urgente, e un possibile intervento di decompressione/stabilizzazione.

iii. In assenza di deficit neurologici progressivi, di difetti che non migliorino nel tempo o di algie intrattabili, la gestione chirurgica della sciatica dovuta a un nucleo polposo erniato dovrebbe avvenire dopo almeno 6 settimane di trattamento non chirurgico.

iv. I pazienti con stenosi lombare sintomatica dovrebbero effettuare un tentativo non chirurgico di 8 - 12 settimane.


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Tabella 3.

D. Lombalgia cronica

1. Il trattamento della lombalgia cronica  (definita in precedenza) è controverso; non vi è consenso generale sul trattamento chirurgico vs. non chirurgico.

2. Principi importanti nella valutazione dei soggetti affetti da lombalgia cronica

  • Escludere gravi patologie quali neoplasie, traumi e infezioni.
  • Vagliare la possibilità di guadagni indotti, di alterazioni psicologiche e di incongruenze.
  • Localizzare il dolore in una regione specifica della colonna vertebrale e caratterizzarne il tipo (meccanico vs. miofasciale).
  • I blocchi delle faccette e la discografia costituiscono degli utili complementi al processo diagnostico, ma non sostituiscono una valutazione anamnestica razionale, l'esame obiettivo e le indagini pertinenti.
  • Stabilire l'eventuale presenza di patologie correlate che potrebbero essere responsabili del dolore (per es., instabilità segmentale, difetti della pars interarticularis, deformità), invece di una DDD generalizzata.
  • La DDD non correla bene con la presenza di dorsalgie, e la sua presenza agli esami di imaging non deve costituire l'unico elemento determinante la pianificazione chirurgica.

3. In assenza di deficit neurologici, infezioni o neoplasie, la chirurgia per una lombalgia cronica non andrebbe solitamente presa in considerazione, se non dopo che uno schema strutturato di  6 mesi di terapia fisica attiva, FANS e modificazioni comportamentali (cessazione del fumo, calo ponderale, cambiamento delle attività, ecc.) non sia riuscito ad alleviare il dolore del soggetto.

E. Trattamento chirurgico

1. Fusione in aperto o con approccio minimamente invasivo.

  • Tre possibilità:

i. Posterolaterale

ii. Fusione intersomatica lombare posteriore (PLIF, posterior lumbar interbody fusion)

iii. Fusione intersomatica transforaminale (TLIF, transforaminal interbody fusion)

  • Nessuna di queste forme di fusione si è dimostrata superiore alle altre, nel trattamento chirurgico della lombalgia.
  • Al momento non è chiaro se, per la lombalgia, la fusione minimamente invasiva sia più efficace rispetto alla chirurgia in aperto.

2. Opzioni di non fusione

  • Sistemi di stabilizzazione dinamica e distanziatori interspinosi - Tali dispositivi sono stati concepiti per ridurre al minimo la lombalgia, eliminando il carico o riducendo la mobilità di un segmento spondilotico. La loro efficacia non è stata validata in letteratura per il trattamento della lombalgia cronica.
  • Artroplastica totale del disco (TDA, total disk arthroplasty)

i. La TDA è attualmente in fase di studio quale alternativa alla fusione, nel trattamento delle DDD sintomatiche.

ii. I vantaggi teorici della TDA sono la conservazione della motilità e la prevenzione delle patologie e delle condizioni degenerative dei livelli adiacenti.

iii. Sulla base degli studi clinici randomizzati finora pubblicati, la TDA a singolo livello sembra essere equivalente alla fusione lombare nella riduzione del dolore al dorso.

iv. La TDA non risulta indicata o approvata per un utilizzo a più livelli.

v. La TDA lombare ha dimostrato di mantenere la motilità al livello chirurgico; non ha però dimostrato di ridurre l'incidenza delle patologie e delle condizioni degenerative dei segmenti adiacenti. Questo richiede un follow-up più a lungo termine.

vi. Le caratteristiche dei detriti da usura e la morbilità correlata al dispositivo utilizzato non sono state definite con chiarezza, al momento della stesura di questo testo. In base ai dati disponibili, la TDA non sembra possedere un profilo di effetti collaterali peggiore rispetto alla fusione lombare.

vii. È necessaria una valutazione a lungo termine dei soggetti sottoposti a TDA.

   

MODULO 1:
CONOSCENZE FONDAMENTALI

MODULO 2:
COLONNA VERTEBRALE